L’Italia vive una transizione epocale nel rapporto tra rischio territoriale e tutela economica. La recente introduzione dell’obbligo assicurativo contro le calamità naturali per le imprese, con scadenza fissata al 31 marzo 2025, segna un momento di profonda trasformazione nel nostro sistema di protezione patrimoniale. Un cambio di paradigma che ci costringe a riconsiderare il concetto stesso di sicurezza in un paese dove la fragilità idrogeologica e sismica si manifesta con frequenza crescente.
La realtá dei rischi
Il nostro territorio, plasmato da millenni di storia geologica e antropica, mostra oggi una vulnerabilità senza precedenti. Gli eventi di Campi Bisenzio, colpita da due alluvioni in pochi mesi, o le recenti frane nel Mugello non rappresentano più eccezioni statistiche , sono la manifestazione di una nuova normalità climatica. In questo contesto, la protezione assicurativa diventa una necessità esistenziale per la continuità aziendale.
Il decreto attuativo pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 28 febbraio introduce un sistema che, nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe distribuire il rischio attraverso il principio di mutualità. Come ha sottolineato Angelo Camilli, vicepresidente di Confindustria con delega al credito: “È vero che alla base dell’obbligo c’è la necessità di garantire il principio di mutualità: se tutte le imprese stipulano le polizze si ridurranno i premi assicurativi e saranno sostenibili anche per le aziende maggiormente esposte al rischio”.
Le zone d’ombra della legge
Ma il meccanismo presenta zone d’ombra preoccupanti, in primo luogo, la tempistica: un obbligo introdotto con così poca chiarezza applicativa rischia di trasformarsi in un ulteriore fardello economico per un sistema imprenditoriale già provato. Le prime imprese che hanno stipulato polizze dal primo aprile affronteranno premi potenzialmente proibitivi, prima che il meccanismo della mutualità possa dispiegare i suoi effetti calmieranti.
“Dai primi segnali che arrivano dalle associate sappiamo che si potrà trattare di cifre molto elevate anche per attività produttive di dimensioni contenute, soprattutto per le aziende che si trovano nelle zone più a rischio. Svariate migliaia di euro, anche decine di migliaia, anche per realtà piccole”, ammonisce Camilli.
Particolarmente inquietante appare la disposizione che preclude l’accesso a qualsiasi forma di agevolazione o incentivo pubblico alle imprese prive di copertura. Una vera spada di Damocle sul sistema produttivo, che potrebbe vedere compromessi strumenti vitali per la propria operatività. Confindustria ha già sollevato la questione, chiedendo che le agevolazioni fiscali e contributive vengano escluse da questo meccanismo sanzionatorio.
Il paradosso della sicurezza territoriale
Emerge un paradosso sistemico: mentre si impone alle imprese di assicurarsi, non si vede un parallelo impegno strutturale dello Stato nella prevenzione e nella messa in sicurezza del territorio. Come ha efficacemente sintetizzato Camilli, l’obbligo comporterà sicuramente maggiori oneri per le aziende, al quale però deve corrispondere un maggiore impegno dello Stato in termini di prevenzione. Altrimenti si tratterà solo di una tassa aggiuntiva sulle imprese.
Il rischio di una desertificazione industriale di interi territori diventa così concreto, poiché se le aziende dovranno pagare premi proibitivi in determinate aree, senza vedere paralleli investimenti pubblici in prevenzione, potrebbero razionalmente optare per ricollocarsi in zone meno esposte.
Il caso dei privati
Sul fronte delle abitazioni private, il quadro appare meno strutturato ma non meno problematico. Le polizze per la casa possono includere garanzie opzionali per terremoti, alluvioni e inondazioni, con costi che variano sensibilmente in base alla classificazione di rischio delle diverse aree. Se il premio medio nazionale si attesta intorno ai 300 euro annui, nelle zone più vulnerabili può facilmente raggiungere i 500 euro.
Ma è la dinamica post-evento che rivela la fragilità del sistema, piú un’area è colpita, più le compagnie si tutelano con tariffe più alte, come evidenziano gli esperti del settore. Si instaura così un circolo vizioso che rischia di lasciare scoperte proprio le popolazioni più esposte, in un paradosso che contraddice lo spirito stesso della protezione assicurativa.
La complessità della situazione richiede un ripensamento profondo dell’approccio. La proposta di Giacomo Cioni, presidente di Cna Firenze Metropolitana, di una polizza base validata dallo Stato, con costi sostenibili merita attenta considerazione. Parallelamente, l’istituzione di un fondo di garanzia statale per anticipare gli indennizzi alle imprese assicurate potrebbe rappresentare quel ponte necessario tra protezione privata e responsabilità pubblica.
Confindustria ha chiesto una proroga di almeno 90 giorni, non per eludere l’obbligo ma per consentire una sua applicazione razionale e informata.
Una riflessione profonda
La questione delle polizze catastrofali ci pone di fronte a interrogativi fondamentali sul nostro modello di sviluppo. Viviamo in un Paese dove il 94% dei comuni presenta aree a rischio idrogeologico, la protezione non può essere delegata esclusivamente a meccanismi assicurativi privati, ma deve inserirsi in una strategia nazionale di resilienza territoriale.
La vera sfida sarà trovare un equilibrio tra responsabilità individuale e collettiva, tra mercato e Stato, tra presente e futuro. Solo così, le polizze catastrofali potranno rappresentare non l’ennesimo onere burocratico, ma un tassello di una nuova concezione della sicurezza patrimoniale.
E tu cosa ne pensi di queste polizze? Puoi scrivermi in privato o contattarmi qui, sarò lieto di darti il mio supporto.